top of page

LA SCUOLA: CHE PAURA!

Sempre più spesso mi capita di incontrare alunni e studenti che soffrono di qualche forma di ansia legata alla scuola. La paura si manifesta spesso in una modalità invasiva e deficitante non solo a livello di prestazione, ma anche di percezione delle proprie capacità e potenzialità. “Non ci riesco”, “Non ce la faccio a farcela”, “Non capisco”, “Non sono capace”, sono tra le frasi che più comunemente riportano. Altri sono spaventati da eventuali punizioni che eventuali fallimenti, possono causare, o ancora, punizioni e richiami da parte di maestre o genitori, anche senza un motivo valido. Di questo secondo tipo di studenti in genere fanno parte quelli brillanti e che riescono senza grandi difficoltà.Questi studenti/alunni soffrono di ansia generalizzata, talvolta vera e propria angoscia, che impedisce soggettivamente di trovare una soluzione creativa, una modalità alternativa, alla difficoltà riscontrata. La difficoltà di cui parlano, quando riescono a farlo, è il più delle volte attiva su di un piano immaginario: non si tratta infatti di una difficoltà reale, riscontrata, vissuta, sperimentata, ma sempre più spesso si tratta di paura che potremmo definire preventiva, paura di un impedimento soggettivo immaginario: per chiarirsi, qualcosa che angoscia, spaventa anche se non si è ancora manifestasto. La chiamano ansia da prestazione ma che di cosa si tratta? E' la paura di non saper rispondere, in modo eccellente, al desiderio dell'Altro. Si tratta della percezione soggettiva che quello che l'Altro sta chiedendo, sia troppo esagerato, troppo difficile, troppo complicato...troppo! Questo troppo viene vissuto pertanto come angosciante e spaventoso poiché a livello soggettivo non si sentono all’altezza. La risposta più frequente, immediata, a questa richiesta ingombrante, invasiva è “No, non sono capace”. Ecco la soluzione! Se la richiesta è troppo, allora non sono capace. Naturalmente questa risposta, soggettiva e inconscia, non aiuta a superare l’ostacolo e l’ansia è lì proprio a manifestarlo.Perché avviene questo? Che cosa spinge molti (non tutti) studenti a rispondere in questo modo? La risposta, sta nella difficoltà dell’Istituzione scolastica e della famiglia, ma anche della società in senso allargato, a sostenere un desiderio in chi si trova ancora all’interno di un percorso scolastico. Il messaggio che la Scuola, la società in generale, diffondono si trova ad essere oggi, più che dal lato del sostegno del desiderio, dal lato dell’enunciazione di un imperativo: SII SEMPRE IL MIGLIORE!Se al posto del desiderio di conoscenza, di apprendimento, viene posto un imperativo; se al posto di fornire opportunità e alternative, viene fornito un esempio di da seguire alla lettera, un’immagine perfetta, un modello a cui rifarsi, il desiderio soggettivo viene schiacciato, eliminato. Il desiderio dell'Altro è il desiderio che lascia spazio ad un soggetto per poter creare, sperimentare, trovare una modalità creativa anche di studio che possa essere unica, soggettiva. L’Altro Istituzionale dovrebbe essere ciò che muove il desiderio degli studenti a imparare e scoprire cose nuove, ad affacciarsi alle novità con entusiasmo e non con timore. Se l’Altro non sostiene il desiderio, se non è in grado di lasciare quel po’ di spazio dove un soggetto possa sperimentarsi come un soggetto desiderante, l’Altro diviene il sembiante della regola, incarna il posto di una Legge totalitaria e dittatoriale, che non lascia spazio ad alcun interrogativo soggettivo, poiché dice già tutto. Quello che questi studenti colgono l’ imperativo categorico: SII COME TI DICO DI ESSERE.La tendenza, la richiesta, di dover sempre essere bravi, i migliori, la difficoltà istituzionale e societaria a non tollerare errori, cadute, difficoltà, la richiesta di essere sempre al top, di avere i voti più alti, di eseguire prestazioni eccezionali, non aiuta a sperimentarsi soggettivamente con il nuovo e l'inaspettato, anche con il fallimento, non permette di proseguire il proprio percorso con tempi e modalità personali, non aiuta a prendersi del tempo per comprendere che cosa piaccia o che cosa no.Il fallimento, infatti, quando effettivamente si manifesta, non viene circoscritto all’evento, alla situazione contingente, diviene invece la stigmatizzazione della propria intera esistenza: “ho fallito in questa cosa”, “questa cosa non mi è riuscita bene” diventa, si trasforma in una questione che tocca l’essere del soggetto: “Sono un fallimento!”. La caduta diventa quindi una caduta soggettiva, che racconta, che dice qualcosa dell’essere del soggetto e che ne stabilisce il valore all’interno del mondo: se sono al top valgo, se ho difficoltà allora non valgo nulla. La risposta più semplice, più immediata, diventa quindi un alibi preventivo: “Non posso essere come devo essere perché non ne sono capace” ma lo scotto da pagare per questa “decisione” è la costante la paura del fallimento e l’ansia che ne deriva.Gli studenti invece che di difficoltà non ne hanno mai avute e che sono tranquilli, sicuri del loro operato, inciampino a volte in un “fallimento” (questo è il significante più frequente). Ecco, anche in questo caso non si tratta di un evento legato alla contingenza, all’evento in sé, la caduta viene vissuta come una vera e propria tragedia. E’ LA TRAGEDIA! Tutti si allarmano, insegnanti, genitori, parenti e vicini di casa. “Ma che cosa ti è successo?”, viene chiesto. La caduta non è contemplata, diventa qualcosa alla stregua di un’onta, una disgrazia che ha colpito l’intera famiglia. Perché lo standard va mantenuto e non sono contemplati errori o mutazioni accettabili: se hai tutti 10, tutti 10 devi avere, oggi e per sempre! Il 7 e l’8, voti che in passato erano considerati più che decorosi, ottimi voti insomma, oggi rappresentano la sufficienza, se si ha 6 beh, praticamente si è spacciati, nella vita non si riuscirà mai a combinare nulla di buono!Anche genitori e insegnanti sostengono, a volt loro malgrado, questa visione totalitaria non circoscrivendo gli eventi all’accaduto, al singolo episodio, contribuendo in questo modo ad alimentare il pensiero che non si tratti di una caduta specifica e particolare, ma che riguardi l’individuo in sé. La frase che spesso i pazienti riportano, insieme all’incognita che ne deriva è “Si impegna ma potrebbe fare di più”. Spesso gli alunni – ma anche studenti di età superiore – non comprendono che cosa gli insegnanti stiano chiedendo.Che cosa fare?Sarebbe necessario, in primis, ridurre il valore del voto a ciò che è realmente: una votazione riferita ad una prova. Il voto non deve essere il rappresentante soggettivo, deve essere inteso come una valutazione ad una verifica, esame, interrogazione ecc che nulla o poco ha a che vedere con il valore soggettivo intrinseco ad ogni individuo. Certamente si tende, si aspira a prendere un bel voto, ma un bel voto non è tutto, c’è molto di più. Si deve tornare all’uno per uno, al tempo soggettivo, alla singolarità e particolarità che ogni di ciascun alunno/ studente. Lasciar scegliere e soprattutto lasciare la possibilità di sbagliare, di commettere errori. Sperimentare una caduta, un fallimento, è necessario per mettersi alla prova, per trovare soluzioni, alternative, per poter riscoprire la capacità creativa di ciascuno di poter far fronte ad ostacoli e delusioni. Una delusione non deve essere la fine del mondo, la fine della carriera scolastica, la disfatta del soggetto. Una caduta narcisistica non deve essere la fine di tutto, ma la possibilità di sperimentarsi in qualcosa di nuovo. Lasciare uno spazio nel quale il soggetto possa sperimentarsi con le proprie caratteristiche, peculiarità ed inclinazioni è fondamentale. Si può fare questo ridimensionando le cadute alla contingenza, alla situazione particolare, spezzando il circolo del fallimento scolastico = fallimento soggettivo. Certo non è facile né immediato, come molte cose, ma lasciare che i ragazzi possano anche cadere, serve per crescere, per poter affrontare le difficoltà future. Si deve poter restituire un po’ di leggerezza e speranza.Come? Attraverso la parola. La parola veicola una possibilità alternativa, può restituire la dimensione dialettica della scuola e della funzione che dovrebbe avere: non un semplice contenitore di informazioni ma un viaggio avventuroso e di scoperta.

Post in evidenza
Check back soon
Once posts are published, you’ll see them here.
Post recenti
Archivio
Cerca per tag
No tags yet.
Seguici
  • Facebook Basic Square
  • Twitter Basic Square
  • Google+ Basic Square
bottom of page